Don Francesco Cosentino (sito ALETEIA ITALIANO)
Il Vangelo in tempo di Coronavirus: il CIECO NATO.
L’incontro di Gesù con il cieco nato, in tempi di coronavirus, ci insegna tre cose: la presenza di Dio nella sofferenza, il coraggio di camminare nella notte oscura, la speranza della luce ogni oltre cecità. Guardando alla storia del cieco nato e a tutti coloro che sono segnati dalla malattia, della sofferenza, da situazioni di oscurità interiore e di angoscia come lo siamo un po’ tutti nel tempo del coronavirus, possiamo anzitutto imparare a vedere dove sta davvero e cosa significa la presenza di Dio nella nostra sofferenza.
Nelle situazioni di dolore, generalmente noi non vediamo Dio o, se lo vediamo, pensiamo di aver meritato da lui questo o quell’altro castigo.
L’inizio del Vangelo è affidato a una domanda antica, che da sempre scava nella carne del cuore dell’uomo e brucia come una ferita sanguinante: come mai quest’uomo è cieco? Ha peccato lui o i suoi genitori? Ecco un interrogativo tragico che si leva dalle situazioni più dolorose e ingiuste: perché il male? Perché questa sofferenza ingiusta? Cosa ho fatto di male per meritare tutto questo? La risposta del Vangelo è straordinariamente rivoluzionaria e sovverte la concezione della religione antica, di quelle pagane e – diciamolo – anche del nostro modo di pensare: “Se c’è un male o una sofferenza deve esserci necessariamente una colpa collegata”.
Non è “Dio che me la fa pagare” perché “me lo merito”.
Questa immagine di Dio è una vera e propria bestemmia. Gesù offre una risposta
nuova: non ha peccato né lui e né i genitori. La sofferenza non è mai un
castigo di Dio. Anzi, è luogo in cui Dio manifesta la sua compassione e in cui
opera per restituirci alla vita.
Dunque, siamo ciechi. Abbiamo bisogno di aprire gli occhi sulla realtà di Dio e Gesù lo fa annunciandoci che Dio non è un sadico signore che si diverte a inviare croci, malattie e virus; se qualche volta abbiamo pensato questo, anche in questi giorni, ci siamo sbagliati su Dio.
Gesù non si interroga sulle colpe di quest’uomo, ma si preoccupa di dire che la sua cecità è luogo in cui Dio manifesta la Sua opera, cioè riportarci dalla cecità alla luce.
Scriveva il Cardinal Martini “Notiamo che Gesù evita di rispondere quanto alle cause. Gesù ha detto: «Né lui né i suoi genitori», Gesù non entra nella causa, ma Gesù sposta tutto il ragionamento sul fine, sul motivo e sul risultato. Che cosa ha da venir fuori da questo? Che cosa ha da nascere? Quale disegno di Dio ha da manifestarsi?”. Sono domande che possono aiutare anche noi in questo momento di prova: cosa ne verrà fuori? Come saremo cambiati? Cosa prepara il Signore pur dentro questa tempesta che ora viviamo?
Il cieco nato ci insegna anche la pazienza di camminare nella notte oscura. Questo racconto del vangelo, infatti, ci fa vedere che la guarigione dalla cecità e un cammino progressivo, lungo, talvolta conflittuale; prima si confronta con Gesù, poi – pur essendo cieco – si affida a Lui facendosi spalmare il fango sugli occhi, poi deve andare a lavarsi in piscina; poi, deve affrontare un severo interrogativo davanti alle autorità religiose (che, ricordiamolo, dovevano certificare e attestare una guarigione), e anche subire una certa indifferenza da parte dei genitori che, per timore, “lo scaricano”.
Ecco, anche questo nostro difficile momento di prova è così: esige la pazienza del camminare, la responsabilità di tutti, la fatica quotidiana di fare dei sacrifici senza vedere risultati immediati, il coraggio di resistere. Si esce dalla notte oscura facendo un passo per volta, gradualmente.
Infine, il cieco nato ci insegna a coltivare la speranza della luce oltre
ogni cecità. Nella speranza di guarire in fretta, dinanzi a un Gesù che
predica, compie gesti col fango, lo manda in piscina a lavarsi, avrebbe potuto
semplicemente dire: “Non c’è niente da fare, non guarirò mai, è troppo
difficile”. O avrebbe potuto dire a Gesù: “A te basta dire una parola: Lo
voglio, sii guarito! E invece mi domandi di fare tante cose!!”
Avrebbe potuto stancarsi, ripiegarsi su se stesso, restare prigioniero del lamento, cadere in preda alla rassegnazione e allo sconforto. E, invece, si fida e si affida. Ci spera e ci creda. E, alla fine, davanti a Gesù dice: io credo. Ecco, per tutti i momenti in cui in questi giorni ci sentiremo stanchi, scoraggiati, angosciati, timorosi che questa lunga notte non finisca, guardiamo a questo cieco nato e camminiamo con lui nella fiducia.
Tanti medici, infermieri e operatori sanitari stanno
offrendo la vita per noi; le nostre istituzioni politiche stanno affrontando
una situazione drammatica con attenzione costante; la Chiesa ci resta vicina in
molti modi. Dio è con noi e, in Gesù, si è fatto luce del mondo. Oltre ogni
cecità.
Grazie fratello cieco, perché in tempo di oscurità ci ricordi l’importanza e il
valore della luce.
Che per tutti è Gesù: “Io sono la luce del mondo”.